INTERVISTA A MARINO CAROTTI: L’ULTIMO ALBUM “GALANTÒMO FU MIO PADRE”
Cantastorie e ballate, antiche melodie
“Galantòmo fu mio padre” è l’ultimo album, pubblicato quest’anno, del cantautore Marino Carotti, in cui l’artista ha raccolto e documentato le tradizioni marchigiane della cultura contadina, tra Macerata e Ancona. Precedentemente membro del gruppo “La Macina”, Carotti ha cominciato la ricerca per il suo progetto da solista nel 1994, reso possibile grazie agli anziani che hanno accettato di trasmettere i loro suggestivi canti popolari.
L’ormai affermato artista del panorama folk marchigiano ci ha concesso questa intervista.
Perché si è avvicinato al mondo dei canti popolari?
«Mi sono sempre interessato a questo genere che fa parte della nostra cultura, ma grazie al gruppo “La Macina”, del quale ho fatto parte dal 90’ al 94’, sono entrato a stretto contatto con il canto popolare e ho avuto il desiderio di svolgere delle ricerche per conto mio, andando a intervistare nelle province delle Marche gli informatori, ossia gli anziani che hanno cantato per me questi brani.»
Che significati hanno i titoli dei suoi dischi e in particolare l’ultimo?
«I titoli, in genere, sono sempre la prima frase della canzone, a differenza dei brani che ha raccolto Costantino Nigra, poeta e politico dell’800’, il quale è stato il primo a fare delle raccolte significative e ufficiali sul canto popolare piemontese. Quando la canzone è già presente nella sua raccolta ho mantenuto il titolo da lui dato, anche se il canto è completamente diverso dall’originale. Il titolo dell’album “Galantòmo fu mio padre”, per esempio, fa parte del brano “Il pellegrino di Roma.»
Quanto è stato lungo il processo di raccolta e trascrizione?
«La ricerca è cominciata per caso nel 93’ e ho continuato intensamente dal 94’ fino al 2002, e anche oggi, se trovo qualcuno che conosce dei pezzi, ho voglia di registrarli. Nel brano “Rondinella fine” ho inserito le voci di tutti gli informatori che mi hanno dato i pezzi, così chi sente il disco capisce da dove sono partito e il lavoro che ho dovuto svolgere.»
Ha integrato ed arricchito le registrazioni con qualche strumento musicale?
«Io canto e suono la chitarra in ogni pezzo e per ogni brano del disco ho voluto chiamare un ospite diverso: Gastone Pietrucci, Giuseppe Ospici, Leonardo Bolognini e molti altri. Tutti hanno partecipato in modo egregio facendo ottimi interventi con i loro strumenti, tra i quali troviamo il sax, l’armonica, il flauto e la fisarmonica.»
Ha mai riprodotto alcune delle tracce del disco dal vivo?
«Tantissime volte. A partire dal 97’ ho cominciato a fare degli spettacoli da solo in tutta italia, invitato dagli assessori alla cultura. Il 20 agosto, a Polverigi, presenterò ufficialmente il disco e avrò l’opportunità di cantare quasi tutti i pezzi.»
Qual è la canzone che sente più “sua”?
«Sono legato a tutte le canzoni, ne ho rielaborate e riarrangiate più di cinquanta (pur mantenendo la melodia dell’informatrice) e ad ogni spettacolo al quale vengo invitato suono dei pezzi diversi. Onestamente non saprei scegliere.»
Quali sono i generi presenti nel suo nuovo CD?
«I pezzi fanno parte del canto popolare marchigiano e alcuni rappresentano un po’ i vari stadi della vita. Nel disco troviamo dei brani di età infantile, di innamoramento e ballate fino a arrivare a canti riguardanti la maternità come le ninne nanne. Non mancano brani di poesia religiosa e di cantastorie, figure che oggi purtroppo non esistono più.»
Pietrucci ha descritto il suo ultimo disco come un “piccolo-grande gioiello di musica popolare marchigiana”. È d’accordo con tale definizione?
«Mi ha fatto molto piacere. Pietrucci è stato come un maestro per me, ha passato molto tempo a contatto con gli informatori e io ho appreso da lui questo metodo di ricerca. È un grande orgoglio per me che abbia voluto scrivere la prefazione del mio disco.»
Cosa pensa del panorama folk locale o italiano?
«Ci sono sicuramente delle buone realtà qui nella zona e penso sia lo stesso anche nelle altre regioni. Non fanno parte del panorama internazionale italiano perché il business ha altri interessi ma sanno comunque farsi valere.»
Martina Menghi
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